L’INTERVISTA |
Alziamo gli occhi e guardiamo il mondo |
di Mario Calabresi |
Il sognatore più appassionato che ho conosciuto nella mia vita è stato Nanni Bignami, era un astrofisico e la sua testa era davvero sempre tra le stelle. Quando lo incontrai la prima volta, dieci anni fa, mi parlò dell’importanza di andare su Marte e mi disse che nel mondo esisteva già la persona che farà il primo passo sul pianeta rosso: «Mi piace immaginare che sia una bambina, mi sono fatto i miei conti e, siccome sono sicuro che ci arriveremo prima del 2040, allora lei è tra noi». Nanni se n’è andato troppo presto, nel 2017, ma per lui Marte era il presente, non un futuro impossibile, tale era la forza del suo sogno e della sua immaginazione. Vi parlo di Nanni perché ho pensato molto a lui in questi giorni, dopo aver intervistato un altro grande scienziato italiano, l’immunologo Alberto Mantovani, la persona che più ne sa di vaccini nel nostro Paese, con cui ho realizzato la seconda puntata del podcast Altre/Storie, che si intitola “La corsa contro il tempo” e cerca di rispondere a tutte le domande che ognuno di noi si fa sulla vaccinazione contro il Covid-19 (lo potete ascoltare gratuitamente cliccando qui o sull’immagine della copertina). Ma adesso vi voglio spiegare cosa c’entrano Marte e la Luna con il vaccino. |
Bignami raccontava che moltissima della tecnologia informatica, delle comunicazioni e molti avanzamenti scientifici erano figli della conquista della Luna: «Se tu hai in mano uno smartphone è anche perché le missioni Apollo sono state l’evento più importante non solo del Novecento ma forse dell’intero millennio». Per questo voleva Marte: «Perché queste visioni selvagge sono le uniche a far fare dei salti immensi alla tecnologia e all’umanità: se penso a quante cose saremmo costretti ad inventare, a quanta ricerca verrebbe creata e a quanti passi avanti faremmo nella medicina come nell’energia, non posso che riempirmi di entusiasmo. Questo progetto sarebbe un incredibile volano di sviluppo: ci vuole un trilione di dollari, meno di quello che la finanza ha bruciato negli ultimi anni o di quello che si è speso per la guerra in Iraq. Ma farebbe la differenza per generazioni».
Ora, di fronte ad una pandemia che non vedevamo da un secolo la scienza e la ricerca hanno fatto un eccezionale balzo in avanti. Ed è per questo che ho pensato a Marte quando Mantovani mi ha spiegato che «nell’ultimo anno abbiamo assistito a un vero miracolo della ricerca scientifica. Alla base del miracolo ci sono diverse cose: investimenti che non hanno precedenti nella storia dell’umanità, poi c’è un capitale altrettanto importante, se non più importante, ed è la ricerca. Per esempio, il primo vaccino approvato, il vaccino Pfizer-BioNTech, è il risultato della ricerca contro il cancro. Infine c’è un terzo elemento: i fallimenti. La ricerca è fatta di passi falsi e dai fallimenti si impara e si possono fare grandi progressi. Il vaccino sviluppato a Oxford ha alle sue spalle lo sviluppo di un vaccino inutile, quello mai utilizzato contro la Sars. Ma su quella base sono andati molto veloci a sviluppare un vaccino innovativo contro il Covid-19». A Mantovani ho poi chiesto se ci possiamo fidare di un vaccino sviluppato in meno di un anno, quanto durerà la copertura, se andrà rifatto ogni anno, quanto durerà l’immunità e se pensa che debba essere obbligatorio. Le risposte e anche una spiegazione chiara di tutto ciò che ancora non sappiamo le trovate nel podcast, ma alla fine dell’intervista gli ho voluto fare la domanda che gli avrebbe fatto Nanni Bignami: capire cosa significa tutta la ricerca fatta in questi mesi per il vaccino sul futuro della medicina. Il professor Alberto Mantovani durante l’intervista per il podcast “La corsa contro il tempo”
«Lo sforzo che è stato fatto, penso che abbia cambiato e cambierà la medicina in modo sostanziale. Faccio alcuni esempi: utilizziamo due vaccini a mRNA, quelli di Pfizer e quello di Moderna. Beh, diciamoci la verità, che si potesse usare una soluzione così per fare interventi preventivi non era nel nostro orizzonte. Questi vaccini invece dicono che si può fare. Questo si tradurrà in nuovi vaccini e in interventi terapeutici che usano questa tecnologia. A me piace andare in montagna e allora dico che abbiamo avuto una straordinaria dimostrazione che la via diretta può portare in cima. Voglio ricordare che il vaccino di Pfizer-BioNTech è il ramo di un albero che è quello dei vaccini contro il cancro. Noi in questo momento ne abbiamo due. Il primo è quello contro il papilloma virus, per combattere una malattia che colpisce soprattutto le donne più povere dei Paesi ricchi e le donne dei Paesi poveri e ne uccide più di mille l’anno solo in Italia. Poi abbiamo il vaccino contro il virus dell’epatite B. Per capire quanto sia importante segnalo che l’anno scorso i dati sul cancro dicevano che uno dei tumori in maggior diminuzione è quello del fegato. Uno dei motivi è che il vaccino contro il virus dell’epatite B protegge anche contro una parte dei cancri del fegato. Quindi abbiamo due vaccini preventivi. Non abbiamo vaccini curativi contro il cancro, ma questa adesso è una frontiera di ricerca più aggredibile». Il professor Alberto Mantovani nel suo laboratorio (foto ©Fabio Oriani)
«Poi, quello che è successo in questo anno ci pone delle domande etiche. Non possiamo non chiederci: ma se avessimo usato lo stesso sforzo – forse basterebbe anche solo il dieci per cento dello stesso sforzo – per fare un vaccino contro la tubercolosi o la malaria forse ce l’avremmo fatta? Io credo di sì. Io ho un amico immunologo, si chiama Stefan Kaufmann e lavora al Max Planck Institute in Germania, che ha dedicato la maggior parte del suo percorso scientifico al microbatterio della tubercolosi e lui mi ricorda sempre che è il più grande killer nella storia dell’umanità di cui possiamo contare i morti: sono un miliardo. L’augurio è che gli strumenti che abbiamo sviluppato in questo anno prima ci facciano uscire dall’emergenza, ma poi vengano usati per risolvere i problemi, soprattutto i problemi dei più poveri. Lo dico perché non possiamo parlare di vaccini e dimenticarci che un bambino su cinque che nasce sul pianeta non ha accesso a tutti i vaccini più elementari… È tempo di arrivare ovunque e di occuparci di tutti». Alzare lo sguardo dal nostro ombelico e guardare le stelle, diceva Bignami, e Mantovani ci manda lo stesso messaggio: alziamo gli occhi e guardiamo il mondo. Perché se c’è una cosa che dovremmo aver imparato in questi terribili dodici mesi è che il mondo è uno solo, non ci possiamo chiamare fuori perché nessun uomo è un’isola. Consulta Altre/Storie, la newsletter di Mario Calabresi |