Io Non Odio

29 gennaio. La Memoria rischia l’oblio. Che accade senza testimoni? Una lettura

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Da sapere: Il 27 GENNAIO del 1945, durante l’offensiva contro il regime nazista, le truppe dell’Armata rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, rivelandone al mondo gli orrori. Questa data è stata scelta nel 2005 dalle Nazioni Unite come giorno internazionale della memoria delle vittime d e l l’Olocausto. L’Italia aveva già dal 2000 introdotto una commemorazione nazionale nella stessa data, grazie tra gli altri all’iniziativa di Furio Colombo.

LA FONDAZIONE Museo della Shoah ha raccolto in una mostra tutte le storie delle persone arrestate in Italia tra il 1943 e il 1944 e deportate nel complesso concentrazionario di Auschwitz-Birkenau . L’esposizione si intitola “Dall’Italia ad Auschwitz” e inaugura oggi alla Casina dei Vallati a Roma, a cura di Marcello Pezzetti e Sara Berger. Molte le novità storiografiche

“Testimoni di Auschwitz”, il documentario stasera 27 gennaio 2021 su Rai Storia alle 21.10 QUINDICI storie di dolore e di speranza di altrettanti sopravvissuti all’orrore dei campi di sterminio, con materiali restaurati e a colori

Il Concerto della Scala in streaming questa sera 27 gennaio 2021 dalle ore 19 sul sito e i canali social del Teatro, il tradizionale “Concerto per il Giorno della Memoria”, promosso da Scala, Anpi Scala e Associazione Figli della Shoah, sarà preceduto quest’anno da un saluto della senatrice a vita Liliana Segre.

Inoltre, un podcast dal Piccolo Teatro di Milano è da oggi sul sito e i canali social del teatro.

Intervista a Sami Modiano

La lettura:

di Haim Baharier *

“Nit ’l” disse papà sorridendo, quando entrò nella mia camera. Io come al solito, appena sentito suonare alla porta, avevo afferrato un volume del Talmud – la raccolta delle discussioni sui testi sacri della tradizione ebraica – e l’avevo poggiato aperto sulla mia piccola scrivania. Facevo sempre così, per non farmi trovare mentre leggevo l’ultimo Tex . “Nit ’l, non si studia, Haimele. Prepara la scacchiera”. Era Natale. Il divieto di studiare questi testi sacri a Natale, a lungo mi è sembrato un’evidenza, ossia l’assoluta incompatibilità tra il significato della festività cristiana e l’essenza stessa dell’ebraismo. Soltanto un po’ di anni fa ho letto che questo divieto rabbinico era nato nel Medioevo per salvare vite ebree. Siccome i libri di studio, rari e preziosi, erano custoditi nei templi dei borghi e delle città, gli ebrei uscivano di sera per andare a studiare. Uscire la notte di Natale significava rischiare la vita, perché era un giorno propizio ai pogrom, con il pretesto di vendicare l’uccisione di Gesù.

QUESTO DIVIETO RABBINICO si è poi trasformato in una usanza folcloristica, molto apprezzata dagli studenti delle scuole talmudiche che per la maggior parte non ne conoscono l’origine e quindi non ne capiscono l’attuale significato. L’usanza, in realtà, dovrebbe servire da barriera alla rimozione. Siamo nel mese della memoria e siamo preoccupati dal ridursi del numero dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Chi andrà nelle scuole a parlare alle ragazze e ai ragazzi con infinita pazienza e dolorosa umiltà, con sorprendente intuito pedagogico? Chi accenderà le candeline della memoria, versando le lacrime a loro tempo impedite? Chi mai potrà sostituirsi a Primo Levi? La memoria che pratichiamo confina pericolosamente con la memoria celebrativa e rischia di diventarlo del tutto, con l’estinzione dell’ultimo sopravvissuto. Come evitare tale disastro e trasformare la memoria incarnata in pensiero arricchente? Lo sapete ormai, è una mia abitudine rivolgere alla Torah – la prima parte dei testi sacri della tradizione ebraica – le domande scomode che trasformano le mie notti in ore di insonnia. Scopro che fondandosi su una parola del testo dai molteplici significati, il Midrash (l’oralità della Torah consegnata alla scrittura), una dozzina di secoli fa, scriveva di una Shoah successa in Egitto durante il penultimo flagello, quello della tenebra. Vi perirono, precisa il Midrash , i quattro quinti del popolo degli schiavi, esattamente le proporzioni degli ebrei europei trucidati durante la Shoah moderna. Il testo prosegue narrando vari episodi di ribellione del popolo appena liberato contro Mosè, la loro guida. “In Egitto avevamo acqua a volontà, cibo prelibato, e quanto meno sepolcri”. Sento risuonare nella mia memoria una battuta di papà: “Certo, la baguette è speciale, ma vuoi mettere il pane di Lodz? Il pane del Paese considerato il granaio d’Europa!”. Mi sembrava allora che in questo modo, venissero rimossi tutti i pogrom perpetuati durante oltre dieci secoli di presenza ebrea in Polonia. Certamente ero poco tollerante, ma intellettualmente e psicologicamente allerta. Tornando al testo della Torah, scopriamo che l’ultima pretesa avanzata dagli anziani del popolo è la conferma della presenza divina nel loro seno. A questo punto, gli occhi si alzano verso le alture e, colto dal terrore, il popolo scopre le orde di Amaleq, contro le quali andrà poi a combattere . Chi erano gli amaleciti? I nazisti di allora, presentati come discendenti di Esaù, fratello del terzo patriarca Giacobbe. Notiamo sin d’ora la preoccupazione della Torah di non descrivere il nazismo e i nazisti come mostri, bensì come il volto del fratello, il volto alterato dell’umano.

DI RIMOZIONE in rimozione, ci si crea un passato quanto meno accettabile, quindi dignitoso e così si ignorano i segnali seppur chiari ed evidenti della catastrofe che si sta annunciando. Pensiamo al vero e proprio pogrom verificatosi nella Polonia dell’i m m e d i at o dopoguerra, a Kielce, nel 1946. La senatrice Liliana Segre diceva che la Shoah occuperà meno di dieci righe nei libri di storia del futuro prossimo. Come abbiamo visto, la Torah è ancora più parsimoniosa d’inchiostro e vi dedica una sola parola che significa, nello stesso tempo, “un quinto” e “a r m at o ”. Vogliamo pensare che essa intenda ribadire, a tutto l’Occidente, la necessità di rimanere vigili, armati, sia intellettualmente che militarmente, per affrontare qualsiasi deriva d’intolleranza, qualsiasi invettiva, anche quelle così flagranti e caricaturali da sembrare trascurabili? Bisogna pensare sin d’o ra che quando l’ultimo reduce avrà acceso l’ultima candela della memoria, dovremo già aver cessato di rimuovere le ferite inflitte all’ego individuale e collettivo dell’Occidente, in ogni circostanza e in qualsiasi modo. Volendo fare due esempi a rischio, mi lascerei interpellare dalla demonizzazione di Israele da parte di una certa classe politica dell’Europa democratica e dall’impreparazione di tutta l’Europa di fronte a un Covid ampiamente preannunciato.

* da Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2021. Nato a Parigi nel 1947, Haim Baharier è figlio di genitori di origine polacca reduci dai campi di sterminio. Allievo del Maestro Léon Askenazi e del filosofo Emmanuel Lévinas. Matematico, psicoanalista, è considerato tra i principali studiosi di ermeneutica biblica e di pensiero ebraico.

 

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